SBK| Fabien Foret svela Jonathan Rea
Intervista al coach del tri-Campione del Mondo
Dopo una carriera piena di successi, tra cui il titolo di Campione del Mondo Supersport nel 2002, Fabien Foret è rimasto nel mondo delle due ruote, oltre che nell’Endurance con Kawasaki, anche in qualità di preparatore di Jonathan Rea, analizzando da bordo pista il suo stile di guida e aiutandolo nell’approccio mentale alle corse, aspetto cruciale del successo di un pilota.
In questa intervista rilasciata a WorldSBK.com, Foret svela alcuni retroscena legati al terzo titolo mondiale dell’alfiere del Kawasaki Racing Team.
Fabien, a fine 2014 hai chiuso la tua carriera agonistica nel paddock Superbike per approdare nel Mondiale Endurance, ma sei comunque rimasto qui in qualità di preparatore di Jonathan Rea. Come sei giunto a questo ruolo?
“Sono ancora parzialmente impegnato nell’endurance con Kawasaki, anche se il ruolo di preparatore è ciò che prende la maggior parte del mio tempo. Una serie di circostanze mi hanno portato a questo nuovo lavoro: conosco bene Jonathan perché siamo stati compagni di squadra in passato, pur non correndo nella stessa categoria. Siamo sempre andati d’accordo, le nostre mogli sono entrambe australiane: un inverno abbiamo condiviso lo stesso appartamento in Australia, e questo ci ha avvicinati molto. Ad un certo punto della carriera ha sentito la necessità di avere qualcuno che lo osservasse a bordo pista ma che lo aiutasse anche a livello psicologico, ed a me è sembrata una scelta più che logica”.
Credi che abbia davvero bisogno di un coach?
“Lui sa cosa vuole e cerca di fare tutto il possibile per ottenerlo: è un perfezionista dalla grandissima determinazione. Questo si sposa perfettamente con il mio metodo di lavoro ed il mio carattere, che lui conosce bene, quindi le cose hanno funzionato al meglio sin da subito. So perfettamente ciò che deve sentirsi dire, ma anche ciò che non deve. Per ora, le cose stanno andando bene”.
Il ruolo di preparatore non si limita solo all’analisi dello stile di guida, vero?
“L’aspetto psicologico è cruciale, specialmente in relazione alla moto. In quanto piloti, pensiamo sempre a ciò che è importante sapere in relazione ai nostri avversari. Il mio ruolo a livello psicologico è tanto importante quanto quello che ho a bordo pista. Devo fare in modo che lui sia tra i migliori e che non si faccia troppe domande”.
In poche parole, quali sono le sue qualità?
“A livello fisico, è pronto. È determinato ed estremamente professionale, ma anche molto talentuoso.”
Anche se tutto sembra relativamente a posto, pensi che ci siano alcuni aspetti sui quali devi lavorare?
“Secondo me c’è da lavorare sui momenti in cui sorgono dubbi, anche se in realtà non si tratta di una debolezza perché è una cosa che succede a tutti ed in tutti gli sport. Per questo motivo devo essere presente e pronto a dargli supporto nelle decisioni di natura tecnica, ma anche essere lì prima di una gara, per poterlo aiutare ad affrontare gli avversari. Devo fare in modo che lui abbia la giusta fiducia nelle sue capacità”.
Com’era a livello psicologico alla vigilia del round di Magny-Cours? E come lo hai aiutato?
“Il giovedì facciamo sempre insieme un giro del circuito. Nel mio caso, il venerdì è il giorno più importante, perché ci sono le due sessioni più lunghe del fine settimana, le quali hanno un impatto enorme sul resto del round. Nel corso della prima sessione analizzo tutti i dettagli che vanno modificati o cambiati. A Magny-Cours ha avuto molto meno bisogno di questo, perché si è sentito subito a suo agio”.
Dopo aver vinto il titolo con lui, ti è passata per la testa l’idea di aiutare altri piloti?
“Quest’anno ho lavorato anche a fianco di Randy Krummenacher. È stato un lavoro abbastanza diverso, con aspettative differenti e rivolto principalmente allo stile di guida necessario per la Superbike, soprattutto in curva. Johnny è assolutamente d’accordo sul fatto che io mi occupi anche di altri piloti, a meno che questi non siano in diretta competizione con lui. Sembra un lavoro semplice, specialmente quando si lavora di Johnny, uno che ha dimostrato di poter vincere e dominare così tanto già in passato… ma quando conosci la materia, non è poi così ovvio. Ci sono tanti piloti esperti che ci hanno provato ed hanno fallito. Ci vuole lavoro, energia e bisogna essere presenti a tutti i debriefing. Non è semplice lavorare con altri piloti ed assicurare lo stesso livello di qualità a ciascuno di essi. Se sono qui, per un certo verso è grazie a Johnny, quindi voglio continuare a fare un buon lavoro e spero di poterlo accompagnare fino a fine carriera, se lo desidera”.
Jonathan ha corso in passato nell’endurance, hai mai pensato di correre insieme a lui?
“In principio il Bol d’Or avrebbe dovuto essere la mia ultima gara, ma purtroppo abbiamo avuto un problema nelle prime fasi. Credo che se anche un giorno dovesse decidere di prendere parte nuovamente ad una gara endurance io sarò comunque al suo fianco, ma non come pilota”.
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