Parla Jeremy Burgess, capotecnico di Valentino Rossi
In un intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport Jeremy Burgess, capotecnico di Valentino Rossi, parla di Vale, della Honda e della Yamaha. Ecco le sue parole:
«No, per carità, non mi chieda chi è il più grande tra Mick Doohan e Valentino Rossi. Forse è il caso di attendere quando la carriera di Rossi sarà terminata, ma sono sicuro che è già tra i migliori di sempre al mondo». Jeremy Burgess, capomeccanico di Rossi, preferisce non essere coinvolto nel dibattito più scontato di Phillip Island. Il sesto titolo di Valentino scatena paragoni e confronti, e lui sarebbe con tutta probabilità l’unico davvero in grado di stabilire chi sia il migliore, dopo aver vinto un totale di 10 Mondiali, 4 con Vale, 5 con Doohan e 1 con Wayne Gardner. – Lei ha lasciato la Honda per seguire Rossi alla Yamaha. Una doppia sfida. Che sensazioni provò la prima volta che vide la moto? «Dopo aver preso la decisione e detto a Vale che l’avrei seguito, ho pensato più volte che forse avevo commesso un errore, non ero del tutto convinto. Ma una volta provata la moto è cambiato tutto. Ero entusiasta, ho preso di petto la nuova sfida, sapevo come lavorava Valentino. Vedevo tutto nella stessa prospettiva: in effetti alla Honda ripetevamo cose già fatte, con una moto che oramai capivamo benissimo. Quando Rossi ha deciso di iniziare questa nuova avventura per me è stata un’illuminazione. Mi sono detto: “Vediamo cosa sappiamo fare, fin dove possiamo arrivare, possiamo anche andare in Yamaha e vincere il Mondiale”.». – Insomma lo stesso punto di vista del pilota? «Decisamente. Per me quest’esperienza sarà probabilmente l’ultima della mia vita professionale. Ho passato 21 anni in Honda e quando ho lasciato quell’azienda, dove ho un sacco di buoni amici, sapevo che non avrei più potuto tornare sui miei passi. Dovevamo ottenere ottimi risultati, e da questo punto di vista abbiamo lavorato sodo». – La Yamaha nel 2003 aveva ottenuto un solo podio. Qual è stato il problema più difficile? «Il primo ostacolo ovviamente era provare la nuova moto. Il contratto con la Honda non ha dato la possibilità a Rossi di farlo prima di gennaio, e questo ci ha fatto perdere molto tempo. Per i primi due mesi non ci c’è stato nessun input da parte sua. Abbiamo dovuto cominciare da zero, dalle modifiche tecniche con gli ingegneri Yamaha nei test di gennaio, febbraio e marzo. Valentino ha vinto il primo GP a Welkom e il merito di quel successo va tutto e solo a lui. La moto non era infatti così a posto come sarebbe potuto sembrare. Da allora in poi abbiamo avuto sempre qualche problema: a volte abbiamo vinto, a volte siamo rimasti indietro. Così si può dire che è stato davvero difficile». – Come si svolge il lavoro del team? Qual è il ruolo di Rossi? «Valentino è di gran lunga la parte più importante. Lui sta in cima alla piramide, il nostro lavoro è dargli ciò che gli serve, di cui ha bisogno. Lui spiega i problemi, io studio il modo per risolverli e li comunico ai meccanici. Inoltre lavoriamo con gli ingegneri Yamaha quando le difficoltà sono più gravi o è necessario apportare modifiche per il futuro». – Era così con Doohan? «Sì, nella mia vita precedente era esattamente lo stesso. Il mio metodo di lavoro consiste sempre nel fare affidamento sul pilota. Ovviamente usiamo i dati elaborati dal computer per confrontarli con le sensazioni e i commenti del pilota, ma quest’ultimo è la parte più importante della struttura». – Rossi ha portato allegria e fantasia nel motociclismo. È adorato dagli appassionati per il suo carattere spontaneo e immediato. È così anche all’interno del team? «È decisamente più serio nelle giornate di venerdì e sabato, oltre alla domenica prima della gara. Tutti vedono gli spettacoli e i siparietti, soprattutto se è stata una gara vincente, ma Vale lavora molto duro in garage e in pista. Sa benissimo che ci sono priorità da rispettare e il lavoro per lui viene prima di tutto». – Lei ha accolto Rossi alla Honda, poi lo ha seguito alla Yamaha. Come è cambiato da allora? «Quando Valentino iniziò a lavorare con me era poco più di un ragazzino. Nel frattempo è diventato un uomo e un pilota vero. Credo che sia capitato a tutti noi, quando eravamo ventenni, di accettare responsabilità differenti e maggiori. Valentino non è cambiato come persona, ha stemperato una parte dello spirito scapestrato, dimostra di essere una persona più seria e ponderata, direi che è più maturo, ma il suo spirito resta sempre giovanissimo».
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