MotoGP | La Spagna non vince più. Quanto durerà ancora? [TITOLI DI CORSA]

Il calvario di Marquez, ritiri eccellenti e l’involuzione di Mir. La speranza è nei nuovi (giovani) talenti

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Il prossimo 6 novembre, in terra rigorosamente spagnola, vivremo l’ultimo l’atto di una stagione complessa, elaborata nelle sue dinamiche e che rischia di finire in archivio come una delle più memorabili per il motociclismo italiano.

Italia o Francia, con 23 punti di distanza e percentuali per questo molto sbilanciate a favore della prima, sarà uno di questi due tricolori a sventolare sul tetto del mondo delle due ruote, lì dove per il secondo anno consecutivo non arriverà alcun pilota spagnolo.

Dopo otto titoli inanellati dal 2012 al 2020, che diventano nove su dieci anni se facciamo partire la nostra analisi dal 2010, in questa stagione così come nella scorsa sotto il cielo di Valencia toccherà ad altri la passerella più ambita.

Ma non sono solo i numeri a lasciare la profonda convinzione che la generazione d’oro della scuola iberica sia dinnanzi ad un massiccio, e proprio questo incerto, percorso di rifondazione. Nessuno spagnolo Campione del Mondo e solo due in altrettante occasioni, Espargarò in Argentina e Rins in Australia, a salire sul gradino più alto del podio nelle diciannove gare sin qui disputate.

Lo scorso anno furono cinque le vittorie a tinte “roja”, ma con un Marquez in più almeno nella seconda parte di stagione. Ecco, è praticamente impossibile non associare l’attuale involuzione di risultati del motociclismo spagnolo al calvario fisico e mentale che ha relegato troppo spesso il numero 93 di casa Honda, negli ultimi anni, al ruolo di spettatore.

Con un altro Marquez, probabilmente, oggi sarebbe tutta un’altra sinfonia. Fatto sta, che usarlo come alibi assoluto finirebbe col trasformarsi in un errore, anche perché alle analisi statistiche elencate qualche rigo sopra aggiungiamo quella di un Aleix Espargarò che rischia seriamente di perdere il suo terzo posto in Campionato a vantaggio di un ruggente Bastianini, con la prospettiva, così facendo, di non trovare alcun pilota iberico nelle prime tre posizioni della classifica finale.

Una situazione, questa, che manca dai libri di storia della categoria addirittura dalla stagione 2006 (titolo vinto da Nicky Hayden). Detto di Marquez, nel bilancio condiviso pesano anche i ritiri di Pedrosa e Lorenzo, oltre all’involuzione di chi, Mir in primis ma anche Rins e Vinales, era chiamato a raccogliere l’eredità di un dominio che per oltre un decennio è sembrato assoluto.

Come spesso accade, e come è giusto che sia, in questi casi la pratica più costruttiva è quella di investire tempo, e risorse, su nuovi potenziali Campioni che un serbatoio così florido come quello spagnolo sembra capace di produrre con relativa difficoltà.

Si riparta da Izan Guevara Bonnin, neo Campione del Mondo in Moto3, e si continui, doverosamente, con Pedro Acosta, iridato lo scorso anno al primo tentativo in Moto3 e con due vittorie ed altrettanti podi, quest’anno, nella prima stagione in Moto2.

Due giovani predestinati classe 2004, chiamati insieme ai Fernández Guerra (ad un passo dal titolo Moto2 di questa stagione, ndr), Canet e Alonso Lopez a raccogliere innanzitutto le speranze, in attesa delle reali ambizioni, di un popolo abituato a vincere e che ha fame e forse anche necessità di tornare a farlo.

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