Un anno fa la tragedia di Suzuka, ci lasciava Daijiro Kato….

Un anno fa la tragedia di Suzuka, ci lasciava Daijiro Kato….Un anno fa la tragedia di Suzuka, ci lasciava Daijiro Kato….

Kato ancora nel cuore
Un anno fa la tragedia di Suzuka
Quella di domenica 6 aprile 2003 è una data funesta per il Motomondiale. Al GP del Giappone di Suzuka, gara inaugurale della stagione per la MotoGP, Daijiro Kato andava a schiantarsi con la sua Honda contro le barriere di protezione. Dopo due settimane in coma, il pilota nipponico, 26 anni, moriva all’ospedale di Yokkaichi. Oggi, ad un anno di distanza da quel terribile giorno, restano il dolore per la sua scomparsa e i dubbi di un incidente mai chiarito.

Quella di dodici mesi fa è stata un’alba tragica per chi l’ha vissuta dall’Italia. Kato, uno dei maggiori rivali di Valentino Rossi nella corsa al titolo della classe regina, partiva dall’11° posto in griglia dopo prove travagliate. Sapeva bene il piccolo campione giapponese che avrebbe dovuto sfoderare tutta la sua classe per recuperare. Forse anche per questo era partito carico d’adrenalina. Non voleva sfigurare davanti al proprio pubblico, lui che era considerato il migliore talento del motociclismo del Sol Levante dopo aver vinto, dominando, il titolo della 250 nel 2001. La corsa della Honda numero 74 del team di Fausto Gresini, però, dura poco, troppo poco, tradito dalla sua pista, quella Suzuka sulla quale aveva strabiliato tutti vincendo due volte nella quarto di litro da sconosciuta wild card. Alla fine della seconda tornata, all’altezza della chicane che precede il traguardo, la RC211V di Daijiro si scompone, resta accelerata e piomba a 180 chilometri all’ora contro il muretto a bordo pista. Uno schianto devastante, le cui conseguenze sono terribili: coma profondo con gravi lesioni cerebrali, vasta emorragia alla base del cranio e numerose fratture. Una situazione disperata. Lo si legge negli occhi del dottor Claudio Costa, l’angelo custode dei piloti, nella disperazione di Gresini, nell’incredulità di chi, ancora troppo giovane, non aveva mai visto da vicino la morte sui tracciati.

A quella giornata ne sono seguite altre, durante le quali la speranza si alternava alla paura. Ma la certezza era una sola: Kato non sarebbe più tornato in moto, non avrebbe più fatto quello che più amava, ovvero correre sul filo dei 300 km/h. E allora, forse, piuttosto che rimanere per sempre su una sedia a rotelle, vittima della sua stessa passione, Daijiro ha preferito chiudere la visiera per l’ultima volta e andarsene. Senza voltarsi indietro. Il 19 aprile, a 13 giorni dall’incidente di Suzuka, il cuore di Kato, nato il 4 luglio del 1976 a Saitama, smetteva di battere. Per sempre.

A piangerlo rimanevano la moglie, Makiko, e due bambini, Ikko e Rinka, ma anche l’intero circo del Motomondiale, che pensava di aver saldato il salato conto con la morte. Invece non era così. Dopo i giorni del dolore, sono seguiti quelli della riflessione, delle polemiche sulla pericolosità delle piste e delle nuove moto a quattro tempi, del ricordo. I piloti, sgomenti e in lacrime quella domenica, non sono rimasti insensibili e hanno subito dato vita ad un’associazione creata per non lasciare in mano ad altri la propria sicurezza in gara. Suzuka è stata esclusa dal calendario iridato e tanti altri tracciati si sono dovuti adeguare alle richieste di chi ama correre, non rischiare la vita.

Che la tragedia di Kato non sia stata una delle tante del motociclismo, però, lo si è capito il 27 aprile a Welkom, dove i suoi colleghi e avversari si sono presentati per la seconda tappa del campionato con un piccolo numero 74 sulla carenatura delle loro moto. Ma quello del Sudafrica 2003 sarà ricordato come il GP del miracolo. Perché Sete Gibernau, compagno di squadra di Daijiro e futuro vice campione del mondo, ha voluto squarciare l’oscurità di quel momento regalando a sé e a tutta la sua squadra italiana una vittoria arrivata alla fine di una gara densa d’emozioni e di magia. Non sono ancora le tre del pomeriggio quando, con il 74 cucito sulla tuta e impresso per sempre nel cuore, lo spagnolo rende onore all’amico scomparso nel modo più inatteso e romantico. Taglia per primo il traguardo dopo aver resistito all’attacco di Rossi e lancia uno sguardo al cielo. Sa che da lassù qualcuno gli ha dato una mano…

Ci sono voluti mesi, tuttavia, perché la morte di Kato trovasse almeno una spiegazione. L’esito dell’inchiesta voluta dalla Honda arriva alla fine dell’anno, ma non cancella tutti i dubbi. Alla fine si parlerà di pista insicura, di errore del pilota. Non di guasto tecnico, come da più parti era stato insinuato. Qualcuno, vedi Loris Capirossi, accuserà poi la Casa dell’ala dorata di “alto tradimento” nei confronti del suo pupillo, il pilota con il quale sarebbe voluta entrare nella storia centrando il primo titolo di campione del mondo nella classe regina tutto “made in Japan”. Adesso invece, a ricordare le imprese di Daijiro, rimangono solo il museo commemorativo realizzato dalla stessa Honda nella sede di Tokyo e le foto con le quali Fausto Gresini ha voluto tappezzare le pareti della nuova base del suo team, a Rimini. Ma anche un trofeo, intitolato alla sua memoria, che vede scendere in pista con le minimoto quelli che in Giappone si augurano saranno i campioni del futuro.

Da quel 6 aprile 2003, insomma, sono successe e cambiate molte cose. Ma oggi, alla vigilia della nuova stagione, che scatterà proprio a Welkom tra meno di due settimane, soltanto una cosa è ancora uguale: il dolore per la scomparsa di un ragazzo, il cui nome resterà per sempre nei cuori di chi gli ha voluto bene e nella storia del motociclismo.
Ciao Daijiro, ci manchi.

Fonte:Tgcom.it

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